Questo breve romanzo, uno studiato impasto di realtà e fantasia, racconta una pagina sconosciuta della deportazione, appoggiandosi in apparenza su alcuni documenti inediti.
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Il primo gennaio 1945 venti ebrei ungheresi vennero prelevati nel ghetto di Budapest, caricati su un carro bestiame e abbandonati al loro destino appena entrati in territorio polacco, perché la linea ferroviaria verso Auschwitz era diventata impraticabile. Era l’alba di un mattino gelido, e mentre da oriente avanzava il fronte russo, gli ungheresi si misero in cammino lungo i binari della ferrovia, attraverso un paesaggio spettrale, fatto di neve e di nebbia, dormendo all’addiaccio o in rifugi di fortuna. Solo in otto, sopravvissuti alla fame e al gelo, raggiunsero il 24 gennaio un ultimo rifugio, il luogo dove tutto era stato consumato. “Il libro è singolare, per la sua intensità stilistica, la sua giusta e implacabile costruzione, per i suoi periferici, ma godibili, smottamenti fantastici. Dentro un’atmosfera apocalittica spira costantemente un’ironia tragica, quasi demente. È un libro sulla storia, e ha l’apparenza di un romanzo storico ma, nei fatti, è una sorta di favola gotica”. (Andrea Inglese)
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