«Voglio che si agisca e si prolunghino le faccende della vita finché si può, e che la morte mi trovi mentre pianto i miei cavoli, ma incurante di essa, e ancor più del mio giardino non terminato». Così scriveva Montaigne nel suo Filosofare è imparare a morire. Forse si può prendere questo auspicio come filo conduttore per una riflessione intorno all'Io.
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Montaigne sembra infatti lontano dai due atteggiamenti che vanno per la maggiore quando si tratta di Io. O la sua celebrazione, come se fosse l'unica cosa che conta al mondo, che va accresciuta attraverso le sue proprietà, stagliandosi sugli altri. O il suo svilimento, la sua sparizione, il suo essere ridotto a effetto sostanziale di proiezioni immaginarie. In questo libro si prova invece ad affrontare questo concetto, fra i più celebri e maltrattati dalla filosofia, individuandolo a partire da ciò che è nei dintorni dell'Io: il tu, gli altri, le cose, gli animali, gli oggetti, insomma, il "mondo" come groviglio delle contingenze e spettacolo della propria destinazione individuale.
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