“Il filo di mezzogiorno” è il secondo romanzo che Goliarda Sapienza ha pubblicato, nel 1969. Racconta l’esperienza psicoanalitica dell’autrice, il complesso rapporto con l’analista e, attraverso le varie sedute, tutto il percorso della sua vita, a partire dal trasferimento dalla Sicilia a Roma e dai corsi di arte drammatica che tanta parte avrebbero avuto per la sua formazione.
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Nella versione teatrale ricavata da Ippolita di Majo ci sono due piani scenici che si sovrappongono in continuazione: quello onirico e delirante di Goliarda e quello, più realistico (ma fino a che punto?) delle sedute col suo psicoanalista. Attraverso l’alternarsi e il confondersi di questi due piani Goliarda insegue la sua memoria, le sensazioni, le libere associazioni recuperando a poco a poco la coscienza della propria identità, ottenebrata dal ricovero in clinica psichiatrica e dai ripetuti elettroshock. Il duro e ambiguo corpo a corpo con l’analista sembra finire, a volte, per invertire i ruoli dei due personaggi. Il testo è stato rappresentato con molto successo al Teatro Mercadante di Napoli, al Carignano di Torino, all’Argentina di Roma, al Parenti di Milano e in altri teatri italiani, con Donatella Finocchiaro e Roberto De Francesco e la regia di Mario Martone.
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