I brevi racconti che compongono La Casa di Claudine di Colette sono bagliori d’oro della memoria. Se il titolo richiama il celebre ciclo di romanzi della serie Claudine che le hanno dato fama, qui la monella in grembiulino è solo un pretesto d’autore: per ribadire, a vent’anni di distanza, che Claudine è creatura sua.
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Ma oggi la protagonista è Colette bambina, racconto della felicità e della meraviglia d’infanzia, e con lei la famiglia di esseri originali dominata dalla madre Sido, il padre Capitano, i fratelli Achille e Léo, gli animali di questa “vecchia casa natale” nel villaggio di Borgogna, gli abitanti di Saint Sauveur. Il piccolo libro esce nel 1922. Elegia e canto dell’immaginazione, la Maison non è però semplice ricreazione del passato, è un arco lanciato tra due sponde di desiderio: qui Colette orchestra per la prima volta il mito di Sido – ritratto a metà tra realtà e ideale –, la risacca di passato e presente confluiti in un unico alveo e la ricerca di sé, con stile che incide la luce. Il mosaico di seducenti apparizioni schiude “il segreto perduto che apriva (…) un mondo di cui ho cessato di essere degna”: poiché restiamo i bambini che eravamo, per scrivere o vivere dobbiamo scuotere fantasmi, questo intende Colette. “Il bisogno veemente di toccare, vive, pellicce o foglie, piume tiepide, la commovente umidità dei fiori”: eccola, tutta qui, la grazia di Colette. La Maison mette in scena i miti del cuore.
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